L’Uomo che barattò il proprio Romanzo con la Vita (Parte I)

Con gli occhi sonnacchiosi, sbadigliando incanti d’ombre notturne, si mise a sedere sul bordo del letto; ristette, si levò e spense la suoneria della sveglia. Le cinque, come sempre da venti anni o poco più: puntuale – meglio, abitualmente.
Augusto, infatti, ha imparato fin troppo bene che più ci si fa irretire da un abito, meno si è disposti ad affidarsi a ogni altra forma di vita.
Prese, quindi, gli occhiali ed uscì dalla camera da letto, camminò lungo tutto il corridoio ed entrò in bagno, poggiò gli occhiali sul lavabo e si soffermò davanti allo specchio.
Non molto alto, i capelli non folti e di già parecchio bianchi, la barba incolta e non lunga… Si stanca presto di osservarsi e sfugge al suo stesso sguardo.
Allora continuò il suo consueto rituale: si lavò, riprese gli occhiali e ripercorse il corridoio in senso inverso, si svestì del pigiama, prese i pantaloni poggiati sopra la cassapanca, la camicia dall’armadio e la giacca, indossò tutto con un’attenzione spropositata; riafferrò poi gli occhiali e li pulì, uscì dalla stanza e ripercorse il corridoio passo dopo passo, giunse in cucina e si accinse a preparare il caffè; mise la caffettiera sul fornello e riempì un bicchiere d’acqua, si sedette ed iniziò ad attendere lentamente l’aromatico gorgoglio, bevendo a piccoli sorsi; ristette, versò ancora dell’acqua nel bicchiere e bevve, spense il fornello e riversò la bevanda calda in una tazzina bianca, prese la zuccheriera e un cucchiaino, zuccherò il caffè, si rimise a sedere e rigirò il cucchiaino nella tazzina, ristette e sorseggiò la bevanda nera. E ristette ancora immobile.
Tutto questo Augusto lo fa senza dirsi una parola, senza farsi udire da un rumore; quasi dovesse non disperdersi, non abbandonarsi alle azioni – Così, come si muoverebbe ognunque Dio sulla testa degli uomini.
Finì di bere il caffè e, dopo avere bene lavato la tazzina e la caffettiera, riattraversò il corridoio ed entrò nello studio, si sedette alla scrivania e prese una sigaretta dall’astuccio in alto a destra, la accese e aspirò intanto che un’altra ieratica processione trovasse un senso alla vita.
In mezzo al forte aroma di tabacco, alle ondate grigiazzurre del fumo capriccioso, come ogni mattina, tutte le mattine Augusto accende le tre candele sul candelabro posto in alto a sinistra, poi prende la stilografica e la poggia alla sua destra, apre il primo cassetto della scrivania e ne tira fuori delle buste da lettera bianche, ne conta tre e le pone in alto sul piano, continua a gustarsi la sigaretta mentre chiude il cassetto e ne apre un secondo, da dove estrae dei fogli bianchi che sistema alla sua sinistra, subito dopo ne sceglie uno e lo mette al centro, proprio accanto alla stilografica. Aspetta quindi che la sigaretta esaudisca, lasciandolo insoddisfatto, il suo piacere, riprende successivamente in mano la stilografica e comincia a scrivere, rapito a se stesso dalla vita – liturgicamente, dalle sei fino alle nove.
Così.
Da quando, venti anni o poco più, aprì il negozio di fiori – scrive lunghe lettere, Augusto.
Augusto ha cinquanta anni ed anche quella mattina, come tutte le altre che ha dimenticato e che seguiranno, alle nove e trenta spense le candele, chiuse le lettere nelle buste, prese cappello e cappotto ed uscì di casa, abitata da lui solo, per andare ad insegnare in che modo figure prigioniere delle loro forme e colori possano diventare una metafora della libertà. Non appena arrivò in strada, come sua abitudine, non prestò attenzione all’orda di clacson inferociti e passeggiò, quasi un uomo non del suo tempo, felice e distratto da se stesso, finché non giunse alla piazza esagonale con il suo libro e le sue tre lettere in mano. Nel solito bar entrò frugando con dei sorrisi fieri e disobbedienti la frenesia addosso agli altri, si sedette ad un tavolo e fece colazione leggendo, con un lapis tra le dita, tre pagine. Si alzò e, dopo aver pagato con un sorriso la cameriera, attraversò la piazza fermandosi davanti alla buca delle lettere. Meticolosamente, ad una a una, riguardò le buste rigirandole più di una volta: le imbucò.
Su di un lato delle buste scrive in bei caratteri il nome e l’indirizzo del mittente, sull’altro lato invece appone solo i sostantivi delle sue assenze ed un attributo che li renda liberi.
Augusto, più passano gli anni, più conserva un animo errabondo e dei piedi impazienti. Così, alle tredici e trenta in punto, esce e chiude il circolo ‘La corona di Josè Raul Capablanca  di cui è presidente. E, non subito, ritorna a casa percorrendo, quasi con stravagante negligenza, la strada più lunga e si sofferma a leggere ancora qualche pagina, seduto su di una panchina, non a caso e mai la stessa, in piazza – sempre esagonale, che pare il crocevia di un mondo assopito.